L'unica macchina che esita
Nello sport il fattore mentale è fondamentale. Studi hanno dimostrato che parlarsi positivamente durante lo sforzo aiuta a migliorare le prestazioni. Oltre a numeri e dati, questo anno appena passato mi ha insegnato che chi possiede un’alta autostima è spesso quello da battere.
Non so quale delle due cose causi l’altra: l’autostima che alimenta la performance o viceversa. Sono arrivato alla conclusione che si tratta di un processo di autoalimentazione. Se vado forte, la mia autostima cresce; una spirale positiva che si rafforza. Di conseguenza, per ora, posso dare la colpa alla mia bassa autostima per il fatto che non sono così forte.
Nelle cose che faccio non sono mai convinto al massimo. Mi fermo a riflettere sulle possibili conseguenze negative e mi concentro su ciò che non faccio bene. Per questo motivo devo adottare piccoli stratagemmi per mantenere la barra dell’autostima a un livello accettabile. Se non lo faccio, inizio a focalizzarmi su tutto quello che potrebbe andare storto, anche se statisticamente improbabile.
Viviamo in un mondo dominato dalla razionalità, eppure c’è sempre una parte della nostra mente che agisce in maniera poco razionale. Ad esempio, ho paura di volare, nonostante sia statisticamente il mezzo più sicuro, ma non ho alcun problema a percorrere 20 mila chilometri all’anno in un Paese dove ogni tre giorni viene ammazzato un ciclista.
Per molti aspetti sono un privilegiato rispetto a tanti miei coetanei. Ho una passione viscerale che mi fa alzare ogni mattina, ho una ragazza fantastica che mi accetta nonostante sia mezzo matto, ho una famiglia che mi vuole bene, ho un lavoro a tempo indeterminato che mi permette di stare tranquillo, eppure passo del tempo a esitare, a farmi divorare dalle mie paure per cose su cui non ho alcun controllo.
Quando mi alleno o gareggio, riesco a concentrarmi unicamente su ciò che posso controllare, cercando di ottenere il massimo e lasciando da parte ciò che è fuori dal mio potere. Ma appena tolgo il casco, divento un’altra persona.
Alcuni giorni mi sento il protogonista di una canzone di Vasco Brondi, di quelle che parlano di ragazzi vissuti in grandi città che se ne scappano in montagna per fuggire dagli ingranaggi di questo tardo capitalismo. Sono l’unica macchina che esita.
Anni fa pensavo che chi inveisse contro i social fosse un idiota. Con il tempo, ho iniziato a essere tra quelli. I motivi sono tanti, ma uno su tutti è la perversità di questo meccanismo: ti fa perdere ore scorrendo modelli di vita irraggiungibili, che forse nemmeno ti interessano davvero. E intanto, quel tempo lo avresti potuto impiegare per qualcosa di più appagante, come leggere un libro, guardare un film o semplicemente annoiarti. Ma ormai hai visto quei contenuti, e ora ti mancano.
Durante le vacanze ho riflettuto molto sul limitare l’utilizzo dei social. Ho provato con i timer che bloccano le app dopo un certo tempo, ma mi sembra un po’ come voler smettere di fumare riducendo gradualmente le sigarette. Avendo smesso di fumare passando da 40 sigarette al giorno a zero da un giorno all’altro, so per esperienza che quel metodo non funziona.
Mi rimangono solo due opzioni: la bacchetta sulle mani a ogni sblocco o buttare il telefono dalla finestra.